giovedì 2 ottobre 2008

REQUIEM - VERDENA

Questa volta analizzerò l'album più duro e brutale dei Verdena, ovvero Requiem. Lavoro della band bergamasca datato 2006, è un mix di rock alternativo-grunge, con influenze psicadeliche e stoner in alcuni suoi frangenti.
L'eredità dell'album è pesante, dopo il largo consenso ottenuto dal "suicidio del samurai", album che ha oramai affermato la band come una delle più genuine entità rock italiane.
Questa è la tracklist dell'album, composto da 15 tracce.

  1. "Marti in the sky" - 0:23
  2. "Don Calisto" - 3:02
  3. "Non prendere l'acme, Eugenio" - 6:05
  4. "Angie" - 3:44
  5. "Aha" - 1:06
  6. "Isacco nucleare" - 4:18
  7. "Caños" - 3:43
  8. "Il Gulliver" - 11:54
  9. "Faro" - 0:47
  10. "Muori delay" - 2:42
  11. "Trovami un modo semplice per uscirne" - 3:34
  12. "Opanopono" - 1:50
  13. "Il caos strisciante" - 4:35
  14. "Was?" - 2:06
  15. "Sotto prescrizione del dott. Huxley" - 12:35

L'album si apre con MARTY IN THE SKY, che non è altro che il lancio di DON CALISTO. Dal punto di vista prettamente musicale sono secondi inutili, ma c'è da ammettere che l'attacco al brano successivo è decisamente imponente!
Don Calisto parte così, grezzo, senza tanti tira e molla. Sound sporco, violento e nervoso. Il pezzo si sussegue in un intensità sempre crescente, attraverso un riff ossessivo e la voce isiterica e velenosa di Alberto. Privo di significato apparente, appare un forte sfogo nervoso delirante...ma la potenza è enorme, soprattutto se presentato dal vivo.
Il pezzo successivo è NON PRENDERE L'ACME EUGENIO...citazione pinkfloydiana! Atmosfera di smarrimento e rabbia contenuta a stento, su cui si abbattono decise e taglienti le parole di alberto: "diglielo a Dio se sai che c'è". L'isteria e le parole deliranti culminano con l'ira, in una coda decisamente infuocata. Ottimo pezzo.
Dopo un inizio cupo e cattivo, irrompe ANGIE, la vera e propria ballad del disco. Le chitarre distorte vengono momentaneamente sostituite da suoni acustici e pianoforte. Alberto ancora una volta è enigmatico nella composizione dei suoi testi, forse per lasciar spazio all'imaginazone, o forse perchè semplicemente non si preoccupa di essi. In ogni caso, a parte un significato più o meno discutibile, questo pezzo senza dubbio presenta diverse belle immagini ("lunedì, è il giorno delle streghe angie""Laverai le tue mani rosse angie"), che non possono che non alludere ad un episodio di (forse metaforica) sana follia...Sicuramente l'ascoltatore ha un grosso spazio per trarre queste conclusioni.
AHA non è altro che un intermezzo che spezza il disco da angie alla traccia successiva. Niente di attinente ad un percorso uditivo, la definirei spazzatura audio di interruzione, del valore di qualche secondo in cui si ascolta la pioggia cadere o il silenzio.
Dopo questo silenzio inspiegabile, parte incalzante ISACCO NUCLEARE: gran pezzo, senza dubbio. Esordisce con uno splendido "ho perso l'amore...l'ho sparso sul suolo", ma il suo significato è ancora una volta enigmatico. La canzone si evolge in un intricato delirio vocale e strumentale, di una potenza decisamente degna di nota. Cuori infranti, rabbia e delirio sono ancora una volta le tematiche compositive della band, che oltre che nei testi viene espressa bene dal punto di vista sonoro. Pezzo nervoso, splendido il momento dell'assolo.
CANOS è invece un pezzo che si stacca dal solito, una sonorità più vicina ai radiohead che ai nirvana (a cui la band spesso fu, anche in modo abbastanza goffo, etichettata). Un pezzo enigmatico e a suo modo dolce, ma molto dark. Abbondano gli elementi psicadelici, atmosfera molto particolare: nel complesso buon pezzo, originale.
Dal punto di vista qualitativo raggiungiamo l'apice in "IL GULLIVER". Canzone lunga, quasi sinfonica, sarebbe possibile dividerla in diversi segmenti. Stupenda atmosfera di perdizione, bellissima dinamica e accelerazioni, bellissimo il suo susseguirsi e i suoni. Un finale mozzafiato annulla qualsiasi perplessità. Unico neo, un testo a mio parere troppo fine a se stesso, anche oltre la media già elevata della band.
FARO è l'ennesimo intermezzo, che si guadagna il titolo del più inutile tra gli intermezzi. Stacco comunque necessario dopo una canzone impegnativa come il gulliver.
Ecco che parte MUORI DELAY, abile gioco di parole, che fa da titolo al vero e forse unico singolone della band.
Riff perfetto, canzone breve e decisa, testo completamente folle ma perfetto per essere canticchiato. Da apprezzare le prodezze vocali di alberto. Pezzo scontanto (si fa per dire, visto il genere), ma decisamente all'altezza. Intensa.
TROVAMI UN MODO SEMPLICE PER USCIRNE è forse uno dei pezzi più silenziosi ma al suo tempo più belli dell'album. Suono dolce e che culla l'ascoltatore, testo quasi infantile ma di ottima fattura, con Alberto che si chiede un "come puoi vivere a testa in giù". Tende a passare per anonimo, ma a mio parere decisamente sottovallutato.
OPANOPONO è l'ennesimo intermezzo dell'album. Prima le percussioni, poi i lamenti di alberto alla chitarra acustica, ora i sinth. Nulla di che, forse il più decente dei 3.
Si apre con un arpeggio imbottito di delay IL CAOS STRISCIANTE, pezzo di buon livello. Ottima dinamicità, struttura fluente e instabile. Da l'idea di un ira che cresce pian piano fino a trovare il suo apice, supportata da un buon tappeto melodico. La parte infuriata è particolarmente toccante.
Furia che si completa con WAS?, pezzo in cui non compare alcun tipo di chitarra, ma imbottito di effetti elettronici, che ricorda vagamente i prodigy. Was è alquanto incompleto sul cd, non dice niente. Di tutt'altra pasta eseguito dal vivo (con la chitarra). Potente ma poco comprensibile.
SOTTO LA PRESCRIZIONE DEL DOTTOR HUXLEY è il pezzo con cui si chiude l'album. Titolo chilometrico, esattamente come la canzone, di durata decisamente non convenzionale. Come il Gulliver, opera elaborata, differente ma altrettanto valida, sicuramente più rabbiosa. "Vivi nell'aria!" è l'esclamazione di un ira liberatoria, a causa probabilmente di atteggiamenti superficiali subiti.

Requiem risulta un album enigmatico, quasi incomprensibile al primo ascolto. Tende poi ad aprirsi lentamente, ma solo per chi ha la dovuta pazienza di ascoltarlo davvero. Rispetto all'album precedente, è palesemente meno radiofonico ed immediato. Luna non trova un sostituto ne un minimo metro di paragone. Album scuro, potente, che dimostra un grande talento e soprattutto una ricerca di un'originalità (che dal punto di vista italiano è indiscussa, dal punto di vista internazionale è sempre stata sotto violente critiche) che nel nostro contesto musicale è segno di forte coraggio. Nessuno vieterebbe a loro di fare vestire Roberta in modo più sexy, sfornare più valvonauti con qualche ti amo in più, e far comparire i fratelli Ferrari più spesso ad MTV e sulle copertine dei giornali da teenager.
La scelta sembra netta, verso una linea meno convenzionale. Albero continua a presentarsi ai concerti quasi vestito in pijama, il loro sarcasmo nelle interviste è quasi irritante, come se volessero solo mostrare la musica e nient'altro.
La musica c'è, forte, assieme al talento della band. Un consiglio per apprezzare meglio l'album? vedere i Verdena dal vivo. Altrimenti aspettatevi l'eventualità di dover effettuare diversi ascolti per entrare in "Requiem".

80/100 - album folle ed enigmatico, difficile e chiuso in se stesso, ma che racchiude un anima di vera e propria potenza musicale.

THE BENDS - RADIOHEAD

The bends è il secondo lavoro dei Radiohead, band dell'Oxfordshire (ENG), uscito nel marzo del 1995.
Thom Yorke e compagni, desiderosi di sbarazzarsi della scomoda etichetta di one-hit-wonder band (dopo il travolgente successo di Creep, tratto da un album, Pablo Honey, largamente snobbato), sfornano un lavoro decisamente più maturo.

Per prima cosa, ecco la tracklist dell'album:
1-planet telex
2-the bends
3-high and dry
4-fake plastic trees
5-Bones
6-[nice dream]
7-Just
8-My iron lung
9-Bullet proof (i wish i was)
10-Sulk
11-Street spiri (fade out)

La prima cosa che ci colpisce è l'intensità di questo album. 11 tracce che scorrono via veloci, potenti, e ci cullano in un irregolare susseguirsi di emozioni. Non tanto un percorso, ma piuttosto un bombardamento di flash improvvisi.
E' evidente la fase di maturazione della band, non ancora completata, ma è probabilmente questo il momento in cui tutto il talento celato esce finalmente allo scoperto, ancora senza controllo (controllo che verrà definitivamente preso in ok computer, l'album successivo e che porterà la band ad un affermazione planetaria).
Il contenuto di questo album ha però un denominatore comune, ovvero un' ENORME melanconia e paura esistenziale, che viene trasmessa attraverso testi toccanti e melodie inquietanti, che si amalgamano alla perfezione.
L'impatto è qualcosa di mai visto e che nemmeno gli stessi radiohead riusciranno a riproporre in futuro: il susseguirsi di momenti nervosi e irregolari, con parole a volte contornate da arpeggi ipnotici a volte da violenti accordi che sprigionano un'inaspettata energia.
Per la prima volta salta all'occhio il possente impasto delle 3 chitarre della band (Yorke-O'Brien alla ritmica, Greenwood alla Lead), che utilizzando spesso parti differenti, sanno creare un muro di suono molto molto ricercato.

Il cd si apre con PLANET TELEX, che riversa subito quattro minuti di inquietudine e tensione sull'ascoltatore. Un inizio elettronico da spazio ad accordi marcati ed un testo sofferente, quasi nichilista: everything is broken, everything is broken. Brano spaziale, ma che scorre fluido senza catturare troppo l'attenzione.
Di tutt'altro stampo è THE BENDS: l'ascoltatore ora capisce che si inizia a fare sul serio. Brano energico, potente, quasi un inno. Yorke urla il suo disagio contro una società che oramai ha perso tutto il sapore e lo ha lasciato da solo con le sue paure. "I wish it was the sixties, i wish i could be happy". La noia e l'incertezza culminano poi con un agghiacciante "i wanna be part of the human race" dopo ad un intenso assolo di greenwood, in cui si coglie tutto il desiderio di appartenere a qualcosa a cui ti senti estraneo.
Il pezzo successivo è una sorpresa, quasi come se fosse una parentesi. HIGH AND DRY è una strana, stpenda canzone che ci fa sorridere. Sarebbero stati così forse i radiohead, se avessero scelto la strada pop alla oasis. La canzone però resta solo una parentesi, uno splendido ritornello contornato da un bel romanticismo melanconico.
FAKE PLASTIC TREES ha quello che non ha high and dry. Stessa melodia dolce e parole sussurrate, falsetti quasi commuoventi, ma un testo meraviglioso. In una società moderna Yorke fa una strana parodia, parlando di un mondo in cui la gente interagisce con finte copie di plastica di tutto. Uno scenario da brividi, cantato in un'atmosfera senza punti di riferimento. Uno dei pezzi migliori dell'album.
BONES è un qualcosa di controverso. E' una via di mezzo tra un pezzo scontato e un pezzo stupendo. L'arrangiamento è semplice ma la melodia è accattivante....e la frase "now I can't climb the stairs" in un testo del genere? C'è poco da dire, a parte confermare che i testi risultano di sicuro un punto forte della band.
[NICE DREAM] è surrale. Grande messaggio, pazzesco. Una melodia ipnotica in cui Yorke parla di uno status quasi idilliaco, che smentisce con un geniale "nice dream", quasi sarcastico. La coda della canzone rende perfettamente l'idea...dalla dolcezza di un bel sogno, alla dura realtà. A parte questo, canzone decisamente di buon livello.
La settima traccia è JUST. Just è violenta, è trascinante. E' pura potenza. Melodia da brivido ed accordi che si arrampicano l'uno sull'altro, un arrangiamento strepitoso che fa da colonna sonora ad un messaggio molto "creepy". La canzone racconta di un qualcosa che perseguita la gente, probabilmente il senso di colpa, che porta poi le persone a vittimizzarsi. "Lo fai a te stesso, questo è quello che fa veramente male". Uno Yorke velenoso che attacca, un Greenwood pazzesco che chiude il pezzo con un assolo di una prepotenza unica. Pezzo epico, di sicuro il migliore dell'album e forse uno dei migliori in assoluto da parte della band.
L'apice di just però prosegue con un altro pezzo splendido, MY IRON LUNG. Bellissimo riff, che apre un pezzo brillante e dinamico. Le parole si sisseguono e vengono travolte da intermezzi chitarristici schizzofrenici: ottimo.
Dopo una serie mozzafiato, l'ascoltatore può lasciarsi andare in due pezzi non di particolare spessore, come BULLETPROOF (I WISH I WAS) e SULK. Il primo è una vera e propria culla, con uno slogan molto ben riuscito -a prova di proiettile (vorrei tanto esserlo)-, note dolci e parole inebrianti. Il secondo invece è un pezzo abbastanza anonimo, che non riesce mai a colpire davvero.
L'intensità dell'album si placa definitivamente, ma nel migliore dei modi.
STREET SPIRIT, un altro tra i migliori pezzi dell'album, è messo in coda e il (fade out tra parentesi) è epico. La canzone parla di non essere nulla, di svanire completamente nell'indifferenza...e dopo le urla minacciose di just è seriamente il modo migliore per chiudere quest'album, un unico e grande lamento. Yorke se ne va svanendo, in quell'arpeggio triste di Just, ma lasciando il segno. Grande pezzo, atmosfera surreale.

Con street spirit si chiude ques'album, che prende dal primo ascolto e continua ad emozionare sempre più, man mano che si entra in intimità con esso.
11 tracce, qualità complessiva pazzesca, per uno dei migliori album dei Radiohead in assoluto.
Non ti stanca mai, ti emoziona sempre più, ti riporta la mente per terra e ti fa osservare quanto a volte possa risultare difficili essere te stesso, essere diversi o semplicemente essere soli al mondo. Un mondo travolto da una società alienante, in cui tu sei l'alieno.

95/100 - un album che ogni persona deve ascoltare almeno una volta.